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29 aprile 2011 5 29 /04 /aprile /2011 09:21

Da Nord a Sud, un sodalizio criminale è in grado di condizionare l’attività giudiziaria attraverso la collusione di intranei ai centri di comando della magistratura, sino alla Suprema Corte di Cassazione e al C.S.M., controllando indisturbatamente le vendite giudiziarie e i fallimenti e garantendo impunità ai magistrati collusi con banche, finanziarie, usurai, speculatori, partiti, logge massoniche e criminalità organizzata

In passato, a partire dall’esperienza pilota del Tribunale di Milano, stampa ed istituzioni hanno dato grande risalto alla pretesa “innovazione” del sistema delle vendite giudiziarie, dedicando intere pagine, anche di pubblicità a  pagamento, sui quotidiani nazionali, facendoci credere che con gli otto arresti di avvocati e pubblici funzionari della c.d. “compagnia della morte“, si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in grado di condizionare le gare d’asta per l’acquisto degli immobili pignorati.   
Istituzioni e media ci hanno spiegato e confermato che per svariati anni una banda diprofessionisti” ha potuto agire impunita, scoraggiando la partecipazione alle aste del pubblico, che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento di un “pizzo” pari al 10-15% del valore dell’immobile pignorato e pilotando l’assegnazione su società immobiliari vicine o su professionisti, soggetti privati e prestanome, i cui interessi spesso sono risultati riferibili agli stessi magistrati giudicanti, come nei tanti casi da noi vanamente denunciati. 

Ma ora (sic!) si assume che le cose sarebbero “cambiate“…  (La Repubblica 11/11/03).
Noi non la pensiamo così.

 

Lo dimostrano l’alto numero di denunce che interessano pressoché tutti i tribunali italiani.  

Lo stesso dicasi per quanto attiene l’ambito delle procedure fallimentari controllate da un vero e proprio racket di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco negli uffici giudiziari del Tribunale di Milano (Radio 101), da cui sono stati sottratti in 10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di euro, mietendo oltre 7000 vittime, ha messo a nudo una ultradecennale capacità di delinquere interna agli uffici istituzionali, in grado di resistere ad ogni denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale. Fatti per i quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto sarebbe avvenuto all’insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di Milano e degli organismi di controllo preposti (CSM, Ministero di Giustizia, Procura di Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure edotti di tutto, dagli anni ’80, hanno sistematicamente insabbiato anche le stesse segnalazioni di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi, occultando solo negli ultimi anni svariate decine di migliaia di esposti a carico di avvocati, magistrati e curatori fallimentari, nei cui confronti sono rimasti del tutto inerti, giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione dell’obbligo di registrazione delle denunce nell’apposito Registro delle notizie di reato. (Obbligo tassativamente previsto dall’art. 335 c. 1° c.p.p.).

A riguardo, basti ricordare i ben 26.000 procedimenti insabbiati e dolosamente occultati in soffitta dalla sola Procura di Brescia, sotto la reggenza dell’ex Procuratore Capo, piduista, Dott. Francesco Lisciotto, come riferito anni orsono con clamore dai più importanti quotidiani, ma dove nonostante ciò nulla è cambiato e mai nessuna indagine è stata svolta nè alcun significativo processo è stato avviato nei confronti di altri magistrati corrotti della Lombardia. [Tranne rari casi isolati, come quello dello scomodo ex P.M. Di Pietro per metterlo definitivamente a tacere più di quanto egli stesso avesse deciso di fare "spontaneamente", pare dietro minacce di morte anche dei suoi famigliari]. Anche a seguito del ritrovamento dei 26.000 fascicoli a carico di magistrati della Lombardia, l’unico provvedimento fu quello di trasferire il Procuratore di Brescia piduista per incompatibilità ambientale alla Suprema Corte di Cassazione. Ciò, mentre i P.M. vengono continuamente sollecitati a rinviare a giudizio chi, non a torto, denuncia prove alla mano i misfatti di magistrati e pubblici amministratori corrotti, forze dell’ordine e altri soggetti in posizione dominante, accusandoli a scopo dissuasivo di diffamazione, calunnia, oltraggio a magistrato in udienza, resistenza a pubblico ufficiale, etc. per inesistenti reati di natura ideologica, scaturenti dalle loro stesse denunce mai esaminate.  

Fenomeno che caratterizza la malavita giudiziaria in ogni parte del Paese, mettendo in evidenza come quella che può ben definirsi la “mafia giudiziaria” non sia una questione legata alle sole zone del sud a forte concentrazione criminale, ma una condizione connaturata all’esercizio stesso della giurisdizione e al modo di gestire le funzioni giurisdizionalia tutela di interessi particolaristici, corporativi e lobbistici – ovvero al modo di intendere le stesse finalità del diritto, secondo una visione deviata rispetto ai principi dello stato di diritto, ormai storicamente entrata a fare parte della cultura dominante e delle perverse logiche di amministrazione della cosa pubblica, ad esclusivo appannaggio di partiti e gruppi affaristici trasversali, corporazioni, logge massoniche, che della giustizia e del suo capillare controllo hanno fatto strumento di arricchimento occulto e fonte di finanziamento illecito, in base ad un <codice non scritto>, secondo cui, indipendentemente dalle latitudini, vince chi ha le giuste aderenze ed entra a fare parte del “giro” dei comitati d’affari.
Un “codice”, imposto dalla politica e dalla cultura dominante che accomuna il nord al sud del Paese e fa di quella che possiamo con giusta causa definire “mafia giudiziaria”, un fenomeno di elevatissima pericolosità sociale e allarme per la stabilità democratica e la sicurezza nazionale, riferibile alle logiche dominanti di gestione del potere e del finanziamento illecito dei partiti, che dalla malagiustizia si alimentano, attingendo ingenti risorse, consenso e protezione, grazie ai legami con la massoneria e la criminalità organizzata e mafiosa.

Non crediate, dunque, di essere gli unici ad avere subito un’ingiustizia dallo svolgimento delle aste giudiziarie o da anomale procedure fallimentari. Si tratta di un sistema criminale istituzionalizzato, da nord a sud del Paese, voluto e alimentato dagli istituti bancari e dalle mafie locali. Un malaffare legalizzato dallo Stato, che tende a mostrare l’efficienza dei Tribunali, nascondendo ogni coinvolgimento di magistrati e infedeli funzionari. A riguardo, basti dire che l’ex Presidente della sezione esecuzioni immobiliari del Tribunale di Milano, dr.ssa Gabriella D’Orsi, indicata nel succitato articolo del quotidiano “La Repubblica”, come una sorta di eroina, che avrebbe denunciato il controllo delle aste giudiziarie da parte della “compagnia della morte”, risultava essa stessa indagata dalla Procura di Brescia per avere favorito la vendita di un appartamento, a prezzo irrisorio, in favore della figlia, quando è notoriamente vietato dall’Ordinamento Giudiziario a magistrati e pubblici funzionari di partecipare, anche tramite terzi, alle aste giudiziarie… (ma questa è un’altra storia che potrere conoscere nelle pagine web della Mappa della malagiustizia in Italia).

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